Attualità dello stato di diritto. Una sintesi storico-analitica - Núm. 9, Noviembre 2007 - Ambiente Jurídico - Libros y Revistas - VLEX 216643873

Attualità dello stato di diritto. Una sintesi storico-analitica

AutorGiorgio Federico Siboni
Páginas77-92

Page 79

Premessa Moderni interrogativi per la scienza giuridica

Il processo e la condanna12 di un individuo incalzano inevitabilmente interrogativi aperti da sempre, sia verso le procedure giuridiche, che in direzione di ben più imponenti e irrisolte manifestazioni. Espressioni che variamente coinvolgono la stessa natura dell’uomo. Noi, uomini e donne del XXI secolo, riteniamo di essere ben più civili e inciviliti dei nostri padri: infinite espressioni della nostra superiorità nei confronti del passato sembrano offrircene ogni momento e perfino nelle più semplici attività di tutti i giorni la prova evidente. La persistenza della pena di morte in molte nazioni, tuttavia, ci rammenta di continuo – esempio terribile tra i molti - che siamo in errore.3

Attraverso i secoli giuristi, filosofi, religiosi e uomini di stato hanno dibattuto sulla liceità della pena di morte. Ogni sorta di argomento è stato portato a favore e contro tale pratica. Sarebbe qui inutilmente verboso citare anche soltanto una manciata dei nomi più celebri – a tutti noti - di quanti variamente sulle pagine dei pamphlet e dalle tribune, sui fogli dei giornali e nel lungo succedersi di ponderosi trattati disaminarono la questione fin nei suoi più sottili recessi, considerando-Page 80ne tanto gli aspetti etici quanto quelli religiosi, analizzandola nelle sue implicazioni tanto sociali, quanto in quelle giuridiche o politiche.

I rapporti che annualmente Amnesty International pubblica ci offrono uno spettacolo semplicemente agghiacciante. Migliaia di persone, ogni anno, vengono mandate a morte in decine di paesi, sparsi lungo tutto il corso del globo. Regimi totalitari, ideologici e religiosi e molte democrazie fanno costante e regolare ricorso alla pena capitale, ovunque. Durante gli anni Novanta del secolo appena trascorso abbiamo assistito con speranza allo svilupparsi di una maggiore sensibilità verso i diritti umani, anche in seguito al termine della Guerra Fredda ed alla caduta del comunismo, ben trenta paesi abolirono la pena di morte dopo il 1990. L’erezione dei tribunali internazionali ha sovente creato in noi il miraggio di una vera e progressiva globalizzazione del diritto internazionale.4

Gli attentati terroristici tristemente seguiti al settembre del 2001 e la teorizzazione politica delle guerre umanitarie e preventive hanno invertito la tendenza irenica manifestatasi sul finire del secolo passato. La giustizia e la libertà civile sembrano essere divenute agli occhi dei cittadini esigenze sempre più secondarie rispetto alla richiesta di sicurezza. Il crimine non soltanto di volta in volta si è maggiormente diffuso, ma del pari, probabilmente, risulta assai più violento che in passato: i delinquenti maneggiano al presente armi prodotte e commercializzate in quantità tali che un tempo sarebbero state sufficienti per alimentare decine di conflitti. Ne risulta pertanto che non esiste in pratica comunità al mondo, per quanto chiusa, isolata o virtuosa, che possa dirsi immune dalla minaccia dei molti rackets gestiti dalla criminalità.

Le carceri ovunque si riempiono e le soluzioni giuridiche per diminuire l’impatto dei costi per la costruzione di nuovi edifici da adibire a luoghi di detenzione sono regolarmente all’ordine del giorno nelle agende politiche nazionali.5 Davanti a tutto questo l’opinione pubblica ha sviluppato una quasi morbosa attenzione verso i meccanismi che reggono la giustizia penale, come la generale tendenza all’analisi da parte dei cittadini dei grandi processi e della cronaca nera ben documenta sui quotidiani. Da questi dati, da queste considerazioni, è necessario partire se si vuole spiegare la “danza omicida” che semprePage 81 più spesso si scatena tra le opposte e configgenti violenze della nostra attuale società. Senza avere chiara l’evidenza di questi elementi non è possibile infatti parlare di nuove forme per la libertà – sia essa civile, politica, sociale, economica o religiosa – diventa non facile spiegare i principi della democrazia rappresentativa, improbabile calare nella realtà di una diffusa ignoranza l’ordinamento giuridico nel quale ci troviamo a vivere e nel quale operiamo in qualità di elettori.

Davanti a tale panorama cui nessuno di noi ormai può più restare insensibile; di fronte a simili interrogativi diviene in primo luogo essenziale assumere un atteggiamento pragmatico. L’unica soluzione coerente mi sembra, al momento, quella garantita dalla logica dello Stato sovrano che, quando lo vuole, ha la possibilità di mantenere la preponderanza del proprio sistema di valori sui soggetti individuali e collettivi animati ad operare al suo interno.6

Le basi di un principio

Scriveva Aristotele nella sua Politica: «è preferibile, senza dubbio, che governi la legge, più che un qualunque cittadino e, secondo questo stesso ragionamento, anche se è meglio che governino alcuni, costoro bisogna costituirli guardiani delle leggi e subordinati alle leggi.»7

Ancora ai nostri giorni sebbene infatti quello dello Stato di diritto sia un principio in essere da lungo tempo ed addirittura per taluni in procinto di essere superato, l’aspirazione cui esso tende non è tuttavia venuta ancora meno; le radici che permisero lo sviluppo più maturo di tale principio sono da ricercarsi in un preciso periodo storico, vale a dire a cavallo tra XVI e XVII secolo con la nascita di quegli stati nazionali che rivendicarono la propria autonomia nei confronti delle grandi realtà universalistiche che avevano più o meno connotato l’Europa sino a poco tempo prima: il papato da una parte e l’Impero dall’altra. Comunemente per Stato di diritto si intende una forma di organizzazione statale che viene più o meno contrapposta ad altre forme non analoghe come per esempio lo Stato-comunista o lo Stato-autorità; qui si fa riferimento a quello specifico tipo di organizzazione statuale che prendendo le mosse dall’età dei Lumi, progredì con la diffusione deiPage 82 principi rivoluzionari a seguito delle campagne di Napoleone Bonaparte che, più o meno volontariamente, si fece portatore dei frutti politici e ideologici maturati durante la Rivoluzione francese.

Lo Stato di diritto è, per come lo si può definire comunemente, qualificato da caratteristiche che assegnano un’importanza basilare alle norme giuridiche generali e astratte, soprattuto quindi alle leggi. Ne deriva che come ideologia politica esso sia decisamente più semplice e netto rispetto alla concezione sopra descritta e si incarni in un modello in cui vige il dominio delle leggi o del diritto sugli uomini. Una ideologia questa che ha profondamente connotato la mentalità dei giuristi occidentali proprio a partire da quell’epoca di cui si diceva e che vede nel positivismo giuridico e nelle norme una componente essenziale della sua natura: in particolare nella misura in cui le norme presuppongono una distinzione logica tra la loro creazione e la loro applicazione.8

Per evitare quindi che il legislatore divenga tiranno si è storicamente fatto ricorso all’idea etico-politica che esista alla sua azione un limite costituito da diritti detti “naturali”, risultato del pensiero giusnaturalista fiorito soprattutto in Germania nel XVII secolo grazie a grandi filosofi e pensatori che riconnessero il diritto all’origine stessa della società umane, ponendo così le basi del concetto di una legge che risalisse alle radici dell’umanità medesima: risulta perciò evidente come il legislatore in base a tali assunti fosse in linea di principio vincolato al rispetto di simili diritti naturali.

A questo principio etico si affiancò, in seguito all’esempio dei neonati Stati Uniti d’America, un insieme di norme poste al di sopra della legislazione ordinaria e che si identificò nelle moderne costituzioni, preferibilmente rigide: fu così che a partire dal Novecento e con la democratizzazione dello stato, al principio di legalità sopraddetto si aggiunse pure quello di costituzionalità, che costringe il legislatore, in precedenza sovrano, al rispetto delle norme appunto contenute nella costituzione.9

Ad alcune di queste costituzioni si prese pure a premettere, secondo il modello impostosi dopo la Rivoluzione francese, una Dichiarazione deiPage 83 diritti che stabiliva in modo chiaro, uniforme e coerente quali fossero le fondamentali ed inalienabili prerogative degli individui appartenenti allo Stato. La distinzione tra gli organi destinati alla creazione delle norme giuridiche di legge e quelli deputati all’applicazione delle stesse, la fiducia parlamentare di cui ogni governo deve godere, l’indipendenza dei giudici, la sottomissione delle leggi ad un giudizio di legittimità derivante da una corte all’uopo destinata - così come le stesse elezioni a scadenze relativamente ravvicinate e l’assoggettamento della pubblica amministrazione alla giurisdizione ordinaria o speciale – sono solo alcuni dei caratteri ancora oggi peculiari e maggiormente visibili dello Stato di diritto.

Dalla sovranità assoluta alla libertà nella legge

Non sarebbe possibile arrivare a comprendere questo sviluppo, non certo breve né lineare degli istituti sui cui si basa la nostra concezione dello Stato di diritto, se prima non ci si soffermasse sui cambiamenti avvenuti nell’ambito della concezione dello Stato stesso e della sua sovranità.

Questa si può identificare nell’esigenza che una data organizzazione politica reclama per sé e per il territorio che è parte di essa in termini di supremazia nei confronti di qualunque altra autorità interna od esterna, è la rivendicazione che l’organizzazione politica compie imponendo la propria potestà senza derivarla da qualche altra fonte di potere - esercitando di conseguenza il monopolio della coercizione al fine di rendere...

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